IL PRIMO GELSO
Era un rito ormai consolidato che il primo gelso dell’estate dovesse raccoglierlo la più piccola della famiglia.
Attendevo quel momento già dall’anno prima, non perché mi piacessero particolarmente i gelsi, ma per la solennità della giornata.
All’alba tiravamo fuori le ceste di vimini dalla cantina e, con delicatezza, ci appoggiavamo su gli strofinacci che avrebbero accolto i frutti, come copertine che attendono neonati nella culla. Dopo, arrivava il turno di venire all’aria aperta dello sgabello, che ai miei occhi era un po’ come un trono da regina.
Rigorosamente in ordine di altezza, ci dirigevamo, impazienti, verso il grande albero di gelso nero situato all’incrocio della strada che divideva il nostro appezzamento da quello degli zii.
Non c’erano muri né paletti tra una campagna e l’altra, proprio per permettere a noi bambini di scorrazzare da un parente all’altro in libertà e ai grandi di riunirsi agevolmente a chiacchierare dopo cena.
La mia investitura prevedeva: vestizione con grembiule di dieci taglie più grande, preso in prestito, per l’occasione, dalla zia e, finalmente, “l’acchianata” sullo sgabello.
I miei occhi luccicavano, le mani tremavano.
Per qualche minuto ero la più alta e la più importante di tutti. “E...adesso quale raccolgo...?”.
Dovevo scegliere minuziosamente e con cura il primo gelso perché era davvero magico: un attimo dopo averlo staccato dal suo amato albero, serravo le palpebre ed esprimevo, con tutta la mia energia, un desiderio che entro l’anno si sarebbe avverato.
E da lì, partiva la raccolta.
In verità, i miei desideri non si sono mai avverati, forse perché non mi serviva niente altro che essere in sintonia con la natura e con chi mi era vicino per avere già tutto.
Invece, l’unica cosa che, puntualmente, si avverava erano delle grosse patacche color vinaccia sui miei vestiti che, nonostante la corazza del grembiule e l’olio di gomito di mamma, restavano tatuate sul cotone fino all’anno successivo, probabilmente per non farmi scordare di come eravamo. ❤️
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